Il presente lavoro vuole proporre delle brevi considerazioni su una tematica tabù della nostra società opulenta, vale a dire la sofferenza, in particolar modo la sofferenza più interiore che può a volte portare a un atto estremo come il suicidio. A partire da una breve disamina di alcune frasi di circostanza, il lavoro prosegue con delle citazioni di artisti, scrittori, filosofi e uomini di religione che hanno trattato l’argomento cercando quindi di fornirne una chiave di lettura. Il tentativo è quello di far comprendere che chi si suicida o medita il suicidio deve essere preso sul serio: si sente certamente vuoto e incapace di trovare un senso alla propria vita. Così si può evincere la complessità dell’essere umano che non è riducibile a una dimensione, ma si struttura su una pluralità di livelli (fisico, mentale e spirituale) collegati tra loro. Da ultimo, si metterà in evidenza come una speranza sia sempre possibile, in ogni circostanza, persino in quella che sembra non avere alcuna soluzione. La Speranza ultima che regge tutto è ultimamente la presenza di Dio, fatto uomo, morto e risorto.