Jacques Derrida non si è mai definito un “teorico dell’immagine”, eppure, da un’attenta riflessione sulla sua traiettoria filosofica, emerge come, già dagli anni Settanta in poi, la différance non abbia smesso di lavorare al cuore stesso del visibile, smontandone le strutture logocentriche costruite dalla tradizione occidentale. Dalla pittura al cinema, dalla fotografia all’archivio, passando per l’architettura e le arti performative, in questo volume ci si interroga sulla possibilità di sviluppare un concetto scritturale di immagine avente nell’operatività pre–semantica e pre–intenzionale della «traccia» il suo motore principale. Se è vero che — come ricorda lo stesso Derrida — la decostruzione non si limita a paradigmi logico–discorsivi, quali implicazioni potrebbe avere una sua modulazione sul terreno dell’esperienza visiva?