Al termine del secondo conflitto mondiale, l’individuazione degli autori dei gravi crimini commessi durante l’occupazione tedesca in Italia contro le popolazioni civili rimase circoscritta a pochi casi eclatanti: gli Alleati abbandonarono il progetto di punire i massimi responsabili delle forze armate tedesche in Italia, e gli italiani, a parte poche condanne (Kappler per le Fosse Ardeatine, Reder per Marzabotto e altri eccidi), ben presto posero fine a quella stagione processuale.
Una nuova se ne aprì invece dopo la scoperta, nel 1994, di quello che una felice intuizione giornalistica definì l’“armadio della vergogna”: in realtà una stanza di Palazzo Cesi, a Roma, sede della Procura generale militare, in cui erano conservati centinaia di fascicoli giudiziari sui crimini di guerra commessi sulla popolazione italiana tra il 1943 e il 1945, illegalmente archiviati dal procuratore generale militare nel 1960. Ragion di Stato, protezione dei criminali di guerra italiani, culture militari poco sensibili al tema della difesa dei civili in guerra, e attente a proteggere in ogni caso l’immunità dei combattenti in divisa: queste alcune delle cause di una giustizia limitata, tardiva e quindi negata.