"Leggere pedagogicamente" vuole significare, per noi, saper "ascoltare" qualcuno che "ci guarda", perché questi vorrebbe comunicare, dialogare anche con sé stesso ma soprattutto con l'altro da sé.
Se impediamo l'articolarsi del linguaggio ed il suo farsi ponte che cerca di raggiungere una qualsiasi altra sponda su cui erigere, nel profondo, le sue fondamenta, mortificheremmo il pensiero che, sì, resterebbe libero, forse e ugualmente, di vagare ma muto e cieco e privo di quelle emozioni le quali soltanto il proiettarsi di sé, con la pluralità dei vari linguaggi, sa donare.
Saper "leggere pedagogicamente" è per noi trasformare e, dunque, educare a comprendere, a pensare e a ritrovare il pensiero stesso nei meandri della natura, nello sgorgare delle emozioni.
Leggere, allora, e scrivere e pensare e costruire ed errare per trovare, per inventare e per evitare che il pensare possa morire al suo nascere.
Recuperare il pensiero di una scienza ritrovata dall’errare, perché ci si eserciti a leggere le infinite o, meglio, indefinite "scritture" d’una storia e di storie e di esperienze da scoprire, vivere, percorrere e proiettare dal loro esser nascente cronaca che vada a divenir storia e storie di vita da rileggere sempre, per comprendere l'accaduto ed il possibile accadere.