L’autore, un magistrato che per anni si è occupato dell’ordinamento penitenziario, verifica il trattamento penitenziario dello straniero in Italia. Ne emerge il dramma dell'uomo, il carcerato e il giudice, l’uno che subisce e l’altro che vorrebbe riversare nelle sue decisioni tutta la forza della fede.
Il testo non è solo la presa di coscienza di una realtà carceraria di rispettare la dignità del detenuto (in particolar modo straniero). È soprattutto una analisi che connette il diritto con la morale e la morale cristiana, tra gli addetti ai lavori e che vuole connettere, tra quegli addetti ai lavori, la fiducia in uno Stato di diritto e la fiducia in uno Stato non confessionale, ove tutti abbiano diritto di cittadinanza.