Scena prima: Roma. Notte fonda. Un bambino dorme vicino a sua sorella maggiore quando arrivano la polizia e l’ufficiale giudiziario per lo sfratto esecutivo. Lei si chiama Fatima, lui Amir.
“Ho dieci anni, stringo il mio fagotto di vestiti e mi vergogno. In strada, di notte. E adesso?” Vivo per questo è un viaggio trascinante in una Babele metropolitana di colori, culture, suoni e voci.
È la storia di un bambino e di una famiglia sempre in bilico sull’orlo della legalità. Una storia che parte veloce su una tavola da skate, correndo sui marciapiedi di Tor Pignattara inseguita da negozianti inferociti, con Roberto detto Kyashan e Napoleone, amici inseparabili. Una storia che segue le movenze irresistibili della breakdance con Crash Kid, amico e mito scomparso troppo presto. Una storia che attraversa le scorribande del writing, anima nera della street art: la ricerca di un codice, le crew di quartiere, i tag per riconoscersi e sentire di esistere. Una storia che si carica con l’energia della hip house per poi scivolare nel rap, l’isola del tesoro, il collettivo Rome Zoo e piazzale Flaminio, la casa da abitare, il ritmo da cui farsi travolgere. In una escalation di incontri, esperienze ed emozioni, Amir Issaa ha scritto un libro che non è l’autobiografia rituale di un artista ma è soprattutto un ritratto generazionale. Un romanzo hip hop di iniziazione alla vita con decine di personaggi e una controcultura travolgente: una terra promessa che ha liberato tante adolescenze difficili dalle vertigini del caos.