Dučić è di quegli artisti dei quali si dice che concludono e compendiano un’epoca. La tradizione, in lui, si è fatta natura. Non rivoluzionario, non innovatore, egli si avvale di una tecnica preesistente e del tutto classica, arricchita e complicata dai continui contributi delle generazioni passate, e vi si muove con la stessa naturalezza con cui l’uomo respira… Tace ogni pretesa di tecnicismo polemico. La sua tecnica è di inarrivabile complessità, ma nulla più che un docile strumento padroneggiato con signorile noncuranza.La spensieratezza dei suoi anni giovani contrassegna la sua firma nella storia letteraria europea.Anche nei suoi ultimi lavori, come nella Lettera da Gerusalemme, non mancheranno quegli sprazzi di leggerezza e quegli squarci d’ineguagliabile serenità che già in età giovanile l’avevano reso famoso. Ma questa produzione del suo esilio avrà un sapore irrimediabilmente diverso, provenendo da quel pozzo di melanconia saturnina dal quale il Maestro investigava il destino del mondo: l’astro splendente era diventato un diamante prezioso che emanava luce profonda.